Ecco uno scoop di cui vado fiero e che rischia di farmi conquistare il Pulitzer: “da qualche anno il Merlot non è più di moda”. A meno che non si parli di Masseto o di Petrus che, come i lettori più informati ben sanno, rappresentano le massime espressioni mondiali dal vitigno bordolese. Purtroppo, per regalarsi una verticale di questi vini, il consumatore dovrebbe vendersi qualche organo; dicono che un rene possa bastare, purché in buono stato. La diffusione di questo vitigno, in Italia, non è mai decollata veramente salvo, probabilmente, talune aree friulane. Qualche sporadica apparizione qua e là, numericamente irrilevanti ma più che significative dal punto di vista qualitativo. Mi vengono in mente il Graf De La Tour ed il Montiano.
Tuttavia, dal momento che l’Italia è il paese al mondo più ricco di varietà di viti, è dunque abbastanza facile capire perché il suo impiego è rimasto circoscritto. Nel resto del mondo invece risulta essere tra i vitigni più coltivati, assieme al Cabernet Sauvignon. Le sue caratteristiche sono formidabili, con il suo frutto pieno e la sua struttura relativamente poco tannica, riesce ad essere il naturale complemento di vini più rigidi e austeri come, per l’appunto, il Cabernet Sauvignon con il quale dà vita al rinomato “taglio bordolese”.
Per restare in terra italica, sempre con il medesimo scopo, lo si ritiene utile per limare talune asperità del sangiovese, vitigno fantastico ma non sempre così facile quando l’annata non è perfetta o quando la posizione dove è piantato non è proprio ideale. Nella nostra regione, l’area che ha prodotto i migliori e più interessanti vini da questo vitigno è quella dei colli bolognesi; negli anni 80/90 alcuni vini raggiunsero addirittura posizioni di vertici nelle guide dei vini. Un momento di relativa gloria, visto che lo stile molto fruttato cui i merlot dei colli bolognesi erano espressione, passò presto di moda.
Oggi però la situazione è assai diversa, ci sono parecchi produttori che si sono lasciati alle spalle quello stile un filo opulento in favore di un approccio più fresco e incisivo, cercando di valorizzare il merlot per quelle che sono le sue peculiarità, vale a dire il frutto. Un frutto più fragrante e giovanile, intriso di maggiore freschezza, caratteristiche ottenute grazie anche a sesti di impianto più adatti e a scelte agronomiche ed enologiche più consapevoli.
Un esempio ce lo fornisce l’azienda Manaresi, una piccola realtà di proprietà della coppia Donatella e Fabio, le cui vigne occupano la collina chiamata Bella Vista prospiciente Zola Predosa. Manaresi negli ultimi anni ha progressivamente rimpiazzato le vecchie vigne di Merlot presenti in azienda, con nuovi impianti, una scelta compiuta anche, ma non solo, per raggiunti limiti di età delle vecchie viti. L’annata 2018, in commercio l’anno prossimo, cioè dopo un adeguato periodo di sosta in acciaio e in bottiglia, sarà dunque il banco di prova per il nuovo Merlot Manaresi.
Nel frattempo ci si può rallegrare il palato con le annate precedenti. E’, questo, uno dei tanti segnali che qualcosa di nuovo si sta muovendo nell’area dei Colli Bolognesi, c’è un buon numero di produttori validi e desiderosi di far conoscere il rinnovato panorama della viticoltura bolognese, che non è fatta di solo Pignoletto, ma anche di buone Barbera, e di ottimi Cabernet Sauvignon e, come detto, Merlot. Tutto sommato, c’è più di una buona ragione per una ricognizione tra le vigne dei colli bolognesi, male che vada si potrà sempre ammirare quella vecchia signora di cui parlava Guccini: “Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po’ molli col seno sul piano padano ed il culo sui colli…”.
Manaresi Vini, Via Antonio Bertoloni, 14 – Zola Predosa (Bo)
http://www.manaresi.net