Per chi è abituato a girare per vigne ben radicate sulla terra può destare una prima diffidenza un progetto di vino che unisce terra e mare. Anche perché il mare in questione non è quello che tanti secoli fa ha forgiato le rocce dello Spungone, e neppure, andando all’oggi, quello a due passi dalla spiaggia che ti fa arrivare agli scogli senza la benché minima la fatica di una bracciata. Quello di cui parliamo parla dei fondali dell’Adriatico che si inabissano a oltre 30 metri, fondali che neanche il sistema tecnologico più avanzato è riuscito a scandagliare del tutto.
È a queste profondità che il ravennate Gianluca Grilli ha avuto l’intuizione di “affondare” le sue bottiglie, scegliendo l’underwater dell’Adriatico come cantina di affinamento. Il punto è che questi vini all’assaggio sono decisamente unici, tanto da mettere in soffitta, ops sott’acqua, le preventive diffidenze iniziali. Scrivo questo dopo avere preso parte a una serata di presentazione dei vini avvenuta a Ravenna nel rinnovato showroom di Tenuta del Paguro a Ravenna. Perché è così che si chiama questo progetto che all’enologia unisce la cultura, nato, racconta Grilli, da “un pranzo con Tonino Guerra”.
Il Paguro infatti oltre ad essere un crostaceo, è anche un relitto inabissato nel Mare Adriatico nel 1965 a 35 metri di profondità, trasformatosi con gli anni in un’oasi sottomarina. Dunque, Ravenna, il mare, le piattaforme e la sua storia.
A tutto questo manca un dato fondamentale: i vigneti. Si trovano sui terreni argillosi della Vena del Gesso, nelle colline di Riolo Terme. Qui ci sono i due vitigni principe della Romagna, Sangiovese e Albana, e due internazionali Merlot e Cabernet. La cantina è curata dall’enologo Stefano Giardi. A tutto questo poi si aggiunge la novità di una evoluzione del progetto: uno Champagne -52, affinato nelle profondità del mare a Portofino, in una startup (Jamin) che coinvolge anche il sommelier di origine greca Emanuele Kottakhs.
Ed è proprio dal Pinot Nero 100% inabissato a una profondità monstre è partito il viaggio nello showroom di Tenuta del Paguro, accompagnato dai piatti firmati da Matteo Salbaroli del ristorante L’Acciuga di Ravenna. Quello che francamente stupisce dello champagne, realizzato insieme a una maison francese, è la morbidezza della bollicina, che avvolge senza invadere il palato, a differenza di tanti Pinot impattanti in purezza. Ottimo poi lo sposalizio d’ouverture, una ricciola con lattuga e zabaione alla bernese.
Il secondo vino è stato un’Albana secco, “presentato per la prima volta a Vinitaly 2019 lasciando tutti stupefatti”, ha spiegato Kottakhs. Si chiama ‘Squilla Mantis’, è dotato di un bel giallo paglierino con riflessi dorati, all’assaggio assembla nel giusto modo sapidità e freschezza. Azzeccato anche l’abbinamento di canocchie con cavolfiore e aglio.
Il percorso si è chiuso con un Merlot in purezza, ‘Homarus’, inabissato come tutti i vini a meno 30 metri in gabbie di acciaio inox per almeno 12 mesi con una temperatura costante di 10-13 gradi. Il vino al palato esprime tutta la sua potenzialità di confetture mature e sotto spirito, ed è stato abbinato a due piatti: baccalà con asparagi e bottarga (sbalorditivo); mafrigol al brodetto di bosega e alloro.
Infine un dettaglio importante: i nomi dei vini. Sono il nome latino di un pesce, punto di congiunzione storica tra la Ravenna bizantina e quella romana. A conferma che di “progetto enologico e culturale parliamo”, sempre nelle parole di Gianluca Grilli.