Frappe e castagnole sono le regine del carnevale. Ma devono essere fritte. Quelle al forno saranno anche buone, ma sono tutta un’altra cosa. Perché a carnevale si frigge, assieme alle maschere è una delle poche certezze.
Sono due preparazioni la cui storia si perde nella notte dei tempi. Qualcuno fa risalire le frappe addirittura ai Saturnalia dell’antica Roma. Ne parla Apicio, gastronomo, cuoco e scrittore romano. Lo cita Francesco Leonardi nel suo “L’Apicio moderno” con il nome di Flappe. La ricetta però appare per la prima volta ne “La singolare dottrina” di Domenico Romoli detto il Panonto, pubblicata nel 1560. È considerato uno dei grandi gastronomi rinascimentali insieme a Bartolomeo Scappi e Cristoforo di Messisbugo.
È un prodotto il cui nome cambia in base alla regione italiana: frappe, chiacchiere, cenci, bugie, sfrappole, galani. Cambiano i fattori, ma il prodotto resta lo stesso. Questa la ricetta di Pellegrino Artusi: 240g farina, 20g burro, 20g zucchero, 2 uova, 1 cucchiaio acquavite, sale qb.
Sono un dolce molto friabile, ottenuto tirando sottilmente l’impasto successivamente fritto e cosparso di zucchero a velo. Ma ci può stare anche una spruzzata di rosolio oppure una pennellata di cioccolato fondente (minimo 70 per cento) fuso. La forma è rettangolare e con due tagli netti centrali.
Altrettanto imperdibili sono le castagnole. Gli ingredienti di base sono pochi e semplici: uova, burro, zucchero, farina, lievito, scorza di limone o arancia, essenza o baccello di vaniglia e liquore (rum o anice) o, al limite, latte. Già così sono buonissime, se poi vengono riempite con crema o cioccolato le papille gustative vanno in sollucchero. Non è male passarle nello zucchero semolato e spruzzarle con rosolio o alchermes.
Di castagnole già si parlava anche nel XVII secolo, in particolare nel 1692 grazie alle ricette del Cuoco Latini, chef anche degli Angioini. E anche prima, nel 1684 con Nascia, cuoco dei Farnese. Entrambi usarono la dicitura struffoli alla romana.