Si chiama Alessandro Morini, l’uomo che reinventò il Centesimino e che mi ha fatto (parzialmente) cambiare idea sul Burson. Il mio rapporto con il Burson, vino ricavato dal vitigno Longanesi, può essere paragonato a quello del gatto con l’acqua; il gatto la osserva guardingo, avvicina le vibrisse, ma poi resta li aqquattato senza osare allungare la zampina per bagnarsi. Eppure, ogni tanto, anche il gatto più restio, si bagna. E così è successo a me, mi sono avvicinato all’acq..ehm, al Burson, e sono qui a raccontarla.
Le problematiche del Burson
Vediamo di essere più chiari riguardo le difficoltà di sintonizzarmi con il Burson. Le ragioni della scarsa liason hanno una duplice origine, una personale che non interessa a nessuno e un’altra mutuata da una serie di riflessioni. Una su tutte, la latitanza di un Consorzio nato oltre vent’anni fa, inizialmente con lodevoli intenti promozionali e di valorizzazione del vino e del vitigno diffuso nella bassa ravennate, ma che oggi non ha più nemmeno il sito web. L’evidente riduzione del numero di bottiglie prodotte; mancano dati ufficiali (altra cronica deficienza) ma la sensazione guardando le carte dei vini è che il Burson stia diventando un vino dimenticato il cui destino è legato più all’iniziativa e alla volontà di un singolo produttore, che ad una comunita di viticoltori. Del resto, con poche o nessuna risorsa destinate alla comunicazione e alla promozione, il destino di questo vino “rustico e arruffato”, non potrà certo brillare.
Ma veniamo al vino. Sinora avevo trovato quasi solamente Burson molto vegetali, esageratamente tannici (del resto l’uva è ricca di tutto) e con acidità elevate. Insomma vini difficili da bere se non in compagnia di piatti altrettanto ricchi e capaci di stemperarne in bocca queste caratteristiche. E qui viene il bello: se è vero, come scritto da tanti altri, che la natura del vitigno longanesi (il nome con cui è registrato) è rustica, strutturalmente robusta e ricca di polifenoli, e che il vino deve essere proprio così per riflettere la “romagnolità”, allora mi sono chiesto, ma un Burson ingentilito ci rappresenta? Forse si, forse no.
Il “caso” Morini
L’occasione di ripensare “parzialmente” me l’ha offerta Alessandro Morini con il suo Augusto da uve longanesi di collina, certamente differenti da quelle coltivate nella bassa. Dalle tre annate assaggiate (2003, 2008, 2012) sono emersi profili del tutto differenti, a dimostrazione che non solo l’interpretazione dell’annata è decisiva, ma anche la mano e lo stile che si vuole imprimere a quell’annnata lo sono altrattanto. Ad esempio il 2003, annata in cui le uve si sono appassite in pianta per effeto della canicola, Alessandro ne ha ricavato un vino potente, ricco e denso ma che è più facile collocare geograficamente nella Valpolicella che in Romagna. E’ un bene o un male? Lo stesso dicasi per la 2012, seppur privo di surmaturazioni, ci rimanda sempre ad altri territori. In poche parole chi direbbe che si tratta un autoctono romagnolo? Solo la 2008 è chiaramente un Burson. Però un Burson fatto bene, privo di sentori vegetali, senza esagerazioni acide e tanniche, piuttosto ricco ma certamente dalla beva apprezzabile.
In ogni caso posso dire di aver assaggiato tre Burson niente affatto sgarbati e rustici, due dei quali però parzialmente stravolti nella fisionomia e staccati dal racconto che sinora se ne è sviluppato.
La reivenzione del Centesimino
Ma lo scopo di questo articolo non era quello di recarmi nella “Canossa” del Burson, ma di rendere un doveroso omaggio all’uomo che ha reinventato il Centesimino. Anche se non può rivendicarne la paternità vera e propria, Alessandro Morini sul vitigno Centesimino si è speso parecchio, in termini umani, di passione pura e di denaro sonante. Forse l’unico che ci ha creduto fino in fondo, realizzandone diverse versioni ed esplorando tutte le tipologie possibili, inclusa la prima edizione in assoluto di uno Spumante Rosè. Poderi Morini oggi vanta la gamma più ampia su questo vitigno: Morosè, spumante Brut rosè; Savignone, la versione fatta in acciaio; Traicolli parzialmente affinato in barriques e infine il Rubacuori la versione passito.
Quest’ultimo un vero capolavoro, un rosso affascinante, lussuorioso e uno dei pochi vini adatti all’abbinamento con dessert a base cioccolato. La versione assaggiata in cantina pochi giorni orsono profumava di rose, di amarene sotto spirito, di vaniglia e cioccolato e in bocca, quando servito alla giusta temperatura (tra 12°e 14°), ti avvolge di sensazioni dolci e allo stesso tempo rinfrescanti. Un vero e proprio tonico, per il palato e uno starter di buon umore.
PODERI MORINI, Via Gesuita 4/b, Faenza
https://www.poderimorini.com
RUBACUORI VINO ROSSO PASSITO DA UVE STRAMATURE