Si parla tanto di mercato asiatico del vino. Ma quanti realmente conoscono quel Continente così lontano da noi, non solo per chilometraggio? Qual è la differenza di palato tra un cinese e un giapponese? E i mercati di Vietnam e Thailandia? Gli interrogativi sono tanti. A rispondere è Francesco Paganelli, tra i massimi conoscitori di quell’area, valigia perennemente pronta, export manager di Terre Cevico, gruppo cooperativo tra i primi a credere in quei mercati. In questa intervista a tutto campo, si racconta.
Lei è sempre in giro per il mondo per lavoro. Come ha trascorso questi mesi forzati in Italia?
Da un lato piacevolmente gustandomi appieno la famiglia, la casa, i cibi preparati insieme. Dall’altro con grande preoccupazione sia per la situazione sanitaria ed economica del nostro paese, sia per i possibili contraccolpi su Terre Cevico, l’azienda di cui sono export manager per il mercato asiatico. Devo dire che finora Cevico ha retto bene, abbiamo sempre lavorato in sicurezza e continuiamo a spedire vino in tutto il mondo.
Come è cambiato in Italia il mondo del vino a seguito del Covid19?
Il quadro definito nel nostro Paese ce l’ha Paolo Galassi, amministratore delegato di Due Tigli la società commerciale di Terre Cevico che segue il mercato Italia. Quello che vedo dal mio punto di vista è comunque una tenuta dei consumi specie nel canale retail ed una lenta ma visibile ripresa in Horeca.
Export primi 3 mesi vino italiano: -7,2%. Come vede i prossimi mesi?
Saranno ancora più delicati. L’export per le sue dinamiche intrinseche registrerà una flessione ancora più marcata durante l’estate, per poi riprendersi mi auguro in autunno-inverno. Ovviamente va tenuto conto dei canali di vendita su cui ogni azienda ha investito: chi come noi è strategicamente più forte in Gdo avrà un vantaggio rispetto chi invece è posizionato prevalentemente o unicamente in Horeca.
Cosa ci ha insegnato l’emergenza sanitaria globale?
Non era mai successo che tutto il mondo si fermasse, eravamo abituati a gestire crisi locali di anno in anno, mai ci eravamo trovati di fronte a una frenata dell’intero pianeta. Per cui si aprono scenari inediti ed è veramente difficile azzardare previsioni.
Lei conosce molto bene il mercato asiatico: è lì che si gioca il futuro per il vino italiano?
Quello che rilevo è che il vino Italiano, a parte il Giappone, è veramente poco presente in Asia che resta dominata dai vini francesi. La Francia è però sempre più incalzata dai vini del Nuovo mondo, in primis australiano e cileno che godono anche di un forte vantaggio in termini di tassazione rispetto ai vini Europei. La cucina italiana in Asia, ad eccezione sempre del Giappone, non ha trovato come in Europa ed in America uno spazio che la renda popolare. Mancando questo driver noi italiani essendo meno bravi nel marketing soffriamo molto le vendite in Asia.
Cosa fare per conquistare l’Asia?
È necessario mettere in discussione i modelli di promozione che hanno funzionato nei mercati maturi. Pensare in maniera nuova. Il vino va quindi “localizzato” su questi mercati. Faccio un esempio: il Sangiovese di Romagna ha caratteristiche organolettiche che lo rendono non facile ad essere apprezzato in Asia, non nella sua classica espressione. È la tipologia Romagna Doc Sangiovese Appassimento che ci ha consentito di abbattere le resistenze e creare opportunità commerciali nuove. Lavorando in campagna con i nostri soci, cercando le vigne più vocate, in fruttaio e cantina siamo arrivati al nuovo stile de Il Galante, Romagna Sangiovese Doc Appassimento. Ha caratteristiche di morbidezza, corpo e struttura, note di frutti rossi maturi che lo rendono perfetto per questi mercati e consente all’azienda di aumentare la diffusione con un ottimo posizionamento commerciale, difficilmente raggiungibile con i Sangiovese tradizionali come base o superiore.
La differenza tra un consumatore giapponese e cinese?
Usando una metafora se l’Asia è una costellazione, Cina e Giappone due distinti pianeti dove persino le regole della fisica sono diverse. I giapponesi amano l’eleganza dei vini, le freschezze, le bollicine, la ricerca dei vitigni autoctoni con una grande attenzione agli abbinamenti con il cibo. Il tutto condito con una spasmodica ricerca della qualità e una richiesta di packaging razionali, ad esempio amano moltissimo i tappi a vite stelvin e le bottiglie leggere a basso impatto ambientale ma anche facili per esser trasportate.
In Cina?
I cinesi amano vini muscolosi con elevate gradazioni alcoliche, basse acidità, con marcati sentori di legno. L’attenzione inoltre è rapita spesso quasi esclusivamente dal packaging che diventa fattore fondamentale per spuntare prezzi interessanti, con bottiglie pesanti, di foggia particolare ed etichette costose. L’abbinamento al cibo è fatto in maniera casuale anche per il modo di mangiare dei cinesi dove piatti diversi di carne, pesce e verdure, con preparazioni varie, vengono serviti contemporaneamente rendendo l’abbinamento tecnicamente impossibile.
I vini di Cevico più apprezzati in Giappone e Cina?
Sulla base di quanto detto i giapponesi adorano le nostre bollicine di Trebbiano, ma anche i nostri sangiovese prodotti a Rimini da Le Rocche Malatestiane: eleganti, freschi che si possono abbinare anche con il pesce. I cinesi amano lo stile ‘appassimento’, i nostri vini biologici rappresentati dalla linea B.IO e recentemente devo dire iniziano ad apprezzare il Lambrusco per cui stiamo riscuotendo un buon successo con i vini dell’azienda Medici Ermete.
Come giudica i mercati di altri Stati di quell’area (ad esempio Vietnam, Thailandia…).
Il popolo vietnamita si avvicina come gusto molto a quello cinese, e in Vietnam stiamo riscontrando un buon successo di vendita e sta diventando un mercato molto interessante per il nostro gruppo. La Thailandia invece rimane un mercato piuttosto marginale con una tassazione feroce sul vino che relega i vini italiani a una piccolissima nicchia di ristoranti che propongono la nostra cucina.
Lei lavora per Terre Cevico: quanto è importante il valore della cooperazione per “conquistare” il mondo?
La difficoltà maggiore, per me, è spiegarla, e comunicare i valori; spesso è una realtà che non esiste come forma societaria in molti paesi. Il racconto stereotipato del vino a cui in Asia sono abituati è spesso solo quello dello Chateau Francese con la famiglia nobile o quello del piccolo produttore anche qui con castello e famiglia a seguito. Per me raccontare Terre Cevico, la cooperazione, i suoi valori, cosa rappresenta nel tessuto italiano, la sua capacità di creare vini popolari di grandissimo spessore con un elevato rapporto qualità prezzo è ciò che più mi fa amare il mio lavoro. Vedere i loro occhi quando ci visitano, quando assaggiano i nostri vini e sentirmi dire “This wine has great value for money” è veramente una soddisfazione immensa.
Terminiamo con un messaggio positivo. Un vino da cui ripartire?
Intanto, come detto, non ci siamo mai fermati, stiamo usando questi mesi per metter in campo ancora più progetti nel mondo del vino. Non vedo l’ora di tornare a viaggiare ed essere presente alle fiere nel mondo per comunicare tutto quanto abbiamo messo in cantiere in questi mesi. Il vino per ripartire è quello che assomiglia a noi romagnoli: accessibile, divertente, per tutti i giorni. E questo non può che essere il Sangiovese! (8)