Sono un esercito di oltre 1200 persone. Alla mimetica preferiscono la divisa d’ordinanza in giacca e cravatta, al botto di uno sparo lo stappo di una bottiglia. Anche se la loro arma principale rimane il palato, allenato dall’assaggio di migliaia di bottiglie in giro per lo Stivale. Sono i sommelier Ais sparsi in tutta la Romagna, guidati da un decano come Roberto Giorgini, sommelier dal lontano 1975. Sedi in tutto il territorio, da Imola a Rimini, il baricentro è a Cesena, città che da inizio 2020 si è dotata di una nuova “centrale” in via dell’Arrigoni. Roba per palati fini: 80 postazioni per i corsi, telecamere con proiezione su schermo per visualizzare i dettagli delle lezioni, cucinotto per l’accompagno dei piatti cibo-vino. Insomma, 250 metri quadrati dedicati al vino.
Anche perché l’esercito si ingrossa sempre di più e le 300 persone spalmate su 7 corsi nei tre livelli necessitano di spazio. “C’è chi si iscrive per semplice curiosità e passione, e chi lo fa con la prospettiva di un percorso professionale – racconta Giorgini - Ci siamo trovati diversi laureati in svariate discipline che vengono da noi con il progetto di farne un lavoro. Il mondo del vino è bello per questo”.
Tre sono i livelli dei corsi Ais. Si parte dall’infarinatura generale su vitigni e degustazioni, si passa ai vini delle regioni d’Italia e oltreconfine, per concludere il percorso del terzo livello sull’abbinamento cibo-vino. “Perché un buon vino è sempre abbinato a un buon piatto”.
Curiosità: il terzo livello fu ideato proprio a Cesena nel lontano 1979. “Da uno studio di Nerio Raccagni insieme all’insegnante Pietro Mercadini. Ci trovavamo in un ristorante del cesenate e ai piatti abbinavamo i giusti vini; nel contempo su un foglio bianco venivano messi dei punti per le valutazioni, e si cercava di farne un corpo organico per la docenza. Fu interpellato anche un insegnante di matematica. La commissione didattica nazionale di Ais ci ha seguito e l’ha fatto suo, ovviamente con le modifiche del tempo”.
Sommelier da 45 anni, Giorgini è uno che ne ha visto di vino transitare nelle botti. “Negli anni ’70 e ’80 il vino in Romagna non era il top, al contrario: lo sfuso la faceva da padrone. Erano poche le cantine che lo imbottigliavano e scommettevano sulla qualità. La svolta è arrivata negli anni ’90, coincisa in molti casi con il cambio generazionale. In cantina arrivano gli enologi, il vino diventa un prodotto del territorio. Alcune zone hanno fatto da apripista, penso a Predappio, Bertinoro, Marzeno e le cantine storiche del faentino. Oggi siamo al punto che la Romagna non ha nulla da invidiare ad altri territori”.
Per Giorgini però c’è ancora tanto da lavorare. Per lui la strada si chiama Albana. “Se il Sangiovese di Romagna ha trovato una sua collocazione, l’Albana non è molto presente nelle carte dei vini dei ristoranti. È un peccato perché è un vino che si presta a miriade di abbinamenti. Per questo come Ais, insieme al Consorzio Vini, abbiamo ideato il Master dell’Albana che ci ha dato ottimi riscontri in termini di visibilità e diffusione”.
In ottobre ci sarà la quarta edizione del Master, il presidente però va già oltre. “La nuova scommessa potrebbe essere il Famoso. Si presta alla spumantizzazione, ha note gustative interessanti. Merita un focus, ci stiamo pensando”. La prima data da appuntare in agenda è il Master del Sangiovese in programma a Faenza il 23 febbraio prossimo.
Tante bottiglie degustate, quale la più grande soddisfazione da presidente Ais Romagna. Spiazzante la risposta: “Non un vino ma la storia di una donna. Separata con figli e in piena crisi, attraverso i nostri corsi è riuscita a trovare lavoro, poi a iscriversi alla scuola a Parma, facendone una professione. Ha ritrovato gli stimoli della vita. Questo è il massimo”.