Diceva Degas che dipingere è facile quando non sai come si fa, ma molto difficile quando lo sai. Ebbene, io ci ho provato; non sapendo fare altre che aprire un tubetto di colore, mi son detto che avrei avuto ottime possibilità di diventare un novello Mondrian oppure un semplice Mazzon. E invece nisba. Le piastrelle di ceramica su cui ho sprecato ore e colori, sono finite alla Hera. Nell’apposito cassonetto della raccolta differenziata. Come è giusto che sia. Chi non sa fare, qualunque cosa essa sia, deve prima imparare. E’ questo vale anche, e soprattutto, per il vino. In una recente intervista, tra l’altro molto ben realizzata, un produttore di vino etneo raccontava la sua nascita e crescita come vignaiolo, descrivendo un percorso fatto di prove e fallimenti; dichiaratamente consapevoli, e perciò consapevolmente colpevole. Personalmente lo trovo un atteggiamento veramente antipatico.
Mettiamo che compriate un bel salame artigiano e che poi vi diventi “buco”, cioè si asciuga troppo in fretta e si crea un vuoto d’aria dentro che piano piano lo farà andare a male, credo che sareste un po’ incazzati. Forse potreste anche soprassedere a richieste di rimborso, ma a quel produttore affibbiereste comunque come minimo il titolo di “incapace”. Se poi, anni dopo, quello stesso produttore dichiarasse che sì, sapeva che i suoi primi salami avevano problemi, per via di locali di stagionatura inadeguati, o per altre cause, ma però facevano parte del suo percorso di crescita, della interpretazione del territorio, etc etc, allora credo che vi incazzereste per davvero. Non si tratta di filosofia o di massimi sistemi, ma solo di essere capaci oppure no. E l’incapacità è una brutta bestia, a maggior ragione quando si tratta di alimenti, prodotti che introduciamo nel nostro corpo. Ma, a quanto pare, è difficile prenderne atto e ammetterlo. Pare dunque che essere Homo Faber-Abilis non sia ritenuta condizione imprescindibile per fare vino o salami.
Per fortuna ci sono tanti vignaioli “bravi e capaci” veri Vignerons abilis et faber, che non fanno esperimenti con la pel…pardon, con i portafogli dei clienti. Uno di questi è Paolo Francesconi. La campagna dove si trova la sua proprietà non è una zona a esclusivo indirizzo viticolo. Da sempre, nella porzione di territorio a cavallo tra Borgo Tuliero e Sarna, il frutteto è presente e rigoglioso, e i terreni indubitabilmente fertili; forse sin troppo per la vite. Paolo inizia la sua vita di viticoltore nel 1992, nel podere di famiglia, una decina di ettari, metà dei quali a vigneto, e da subito governati in regime biologico. Nonostante Paolo sia principalmente un “rossista”, e contro il buon senso comune vigente, al momento del rinnovo degli impianti, Paolo ha voluto piantare l’Albana. Una scelta che oggi lo trova più che soddisfatto, vista la crescente domanda di Albana ed il lento ma costante risveglio di attenzioni su questo vitigno. Rammento molto bene i primi rossi di Paolo; Miniato, Iadi, Impavido, Limbecca, tutti vini di “sana e robusta costituzione fisica”, esenti da rachitismo che ultimamente viene imposto a certi vini nostrani.
Le ultime annate dei rossi di Paolo sono sintonizzate con le prime e non si può fare a meno di ricavarne un’idea complessiva di coerenza stilistica, scevra da mode passeggere. I vini di Paolo non hanno mai mostrato sbavature e incertezze, forse potranno non essere apprezzati da chi ama lo stile anoressico, ma non si potrà certo dire che non siano men che puliti e fatti con cognizione di causa. Per certi versi la bottiglia odierna, il Le Iadi 2013, con il suo invitante profumo di frutti rossi e i suoi tannini incisivi, mi ricorda la versione dell’annata 2001, che purtroppo non ho più. Difatti, da sempre predico “meglio bere e pentirsi” che “non bere e poi doversi pentire ugualmente”.
Foto tratte da Kavatappi.
PAOLO FRANCESCONI
Via Tuliero, 154 – Faenza
Romagna Sangiovese LE IADI riserva 2013
Euro 17,00
http://www.francesconipaolo.it/