Toscano nell’accento ma soprattutto nella mancanza di filtri quando è ora di dire la propria, Carlo Cambi è stato in Romagna. Non per una vacanza al mare bensì nella patria di Pellegrino Artusi, a Forlimpopoli. Ha ricevuto il Premio Marietta ad Honorem e ha preso parte al convegno dedicato alla “Cucina di casa domani”. Lo abbiamo incontrato e come al solito non è stato un momento banale. Lingua sempre sciolta, non le ha mandate a dire a nessuno.
Quanto è attuale oggi l’Artusi?
Molto più di quando uscì nel suo tempo. Sono convinto infatti che la deriva di eccessiva spettacolarizzazione della cucina d’oggi, renda necessario un ancoraggio forte alle radici. E l’Artusi oggi è l’unico testo che in Italia può consentire un approfondimento ben motivato sulle ragioni del cucinare all’Italiana.
Se Artusi oggi fosse tra noi: che posto avrebbe?
Sarebbe un foodblogger. Il successo del suo Manuale ha dimostrato una forte capacità imprenditoriale, tant’è che se lo pagò di tasca propria. C’è solo una differenza rispetto ai foodblogger attuali: non sarebbe innamorato di se stesso ma della cucina.
Lei divide i cuochi in Artusiani e Astrusiani: cosa significa?
“L’artusiano è quello che cucina con affetto, cura e rispetto del prodotto. L’astrusiano è quello che cucina per soddisfare il proprio ego”.
Alla Festa Artusiana è stato lanciato un appello al ritorno della cucina di casa: lei è d’accordo?
Assolutamente sì. Nonostante il bombardamento televisivo e sui social sulla gastronomia, l’oggi ci dice che la gente passa sempre meno tempo in cucina e molto spesso spopola il cibo precotto. Ecco, un quadro di questo tipo ci dice che è indispensabile tornare a cucinare non per mangiare bene ma per fare della cucina il luogo degli affetti, della trasmissione delle identità.
Come giudica la cucina romagnola?
Al netto di quella che è diventata una caricatura di se stessa, e penso alla riviera dove si mangia il sardoncino perché fa popolare e si beve un vino del quale è meglio che mi fermi qui sennò sarei troppo cattivo… Al netto di tutto ciò, se ti inerpichi in collina forse trovi ancora alcune realtà rimaste agganciata alla radice rurale.
A chi dedica il Marietta?
Alla mia bisnonna Ermelinda Lancellotti vedova Folghieri, la mia maestra di cucina e di vita, e a mia figlia Carlotta. Sono due donne che hanno segnato profondamente la mia vita.