Il nome “Collina del Tesoro” non indica nulla di esotico, e non contiene rimandi da letteratura per ragazzi ma solo una utile quanto efficace geolocalizzazione per trovare la cantina della famiglia Valentini che prende per l’appunto il nome dalla via dove è ubicata. A meno di voler considerare come “tesori” i nuovi vini predappiesi prodotti da Stefano Valentini con l’aiuto di uno staff tra i quali spiccano l’enologo Poggibonsino (o Poggibonsese) Giovanni Stella, l’agronomo Francesco Marchi e la consulenza di Giorgio Melandri, già curatore della guida vini del Gambero Rosso, Vignaiolo con la sua azienda Mutiliana, ideatore di Enologica e molto altro ancora.
Collina del Tesoro è un’azienda agricola di proprietà della Famiglia Valentini da oltre 100 anni, la prima annata di vino prodotta risale al 1960 ma è dagli anni ‘90 che si è dedicata con maggior attenzione alla viticoltura puntando sul vitigno che meglio fa risaltare il variegato territorio predappiese, il sangiovese.
L’azienda dispone di quasi 40 ettari di vigne, oltre a 20 di ulivi, che danno luogo a una produzione di oltre 100 mila bottiglie sotto il marchio Roserosse venduto principalmente tramite un’altra filiera aziendale. La famiglia possiede infatti anche la nota azienda di abbigliamento forlivese Payper. Una storia come ce ne sono tante, una famiglia insediata da tempo in un territorio con il quale mantiene solidi legami, legata alla propria terra che cerca di conservare e migliorare. Che poi questo è il fulcro del nuovo corso voluto da Stefano Valentini e inaugurato ufficialmente alcune sere fa con la presentazione a stampa e ristoratori dei nuovi vini targati Collina del Tesoro. Non si è trattato di una semplice anteprima, ma di un incontro dal carattere familiare con Edoardo Tilli e il suo staff chiamato a raccontare e ad eseguire i suoi piatti “coraggiosi” fatti di frollature spinte e parti meno nobili della selvaggina e preparati nella cucina di famiglia. Un’esperienza notevole. Ma cosa cambia rispetto alla produzione vinicola targata “Roserosse”? Tutto!
Partiamo dalle lavorazioni in vigna: coltivazione biologica in attesa di conversione biodinamica, uso dei sovesci, vendemmie manuali per passaggi, mentre in cantina ci si affida a fermentazioni spontanee, uso di botti grandi per la maturazione dei sangiovese e barrique esauste per lo chardonnay. L’estensione territoriale, tutta comunque entro i confini della sottozona Predappio, consente al team Collina del Tesoro di far risaltare e di mettere in bottiglia il risultato di tre appezzamenti aziendali di particolare pregio: Costa del Pappagallo, un rosso cromaticamente scarico di bella freschezza e profondità con netti profumi floreali; Chiesa di Montemassa, rosso potente di evidente marchio predappiese con tannini fitti e saporiti ma di ottimo equilibrio; Colombera di Ottobre, anche questo con un invitante entrata floreale e una freschezza agrumata che lo marca.
Tre cru ben distinti che ci rivelano quanto è complicata la lettura di un territorio variegato come il predappiese dove troviamo argille di diverse colorazioni, calcari e presenze tufacee non sempre così isolate e chiaramente classificabili. Affiancano i tre cru, un Sangiovese Predappio, un Pinot Nero dal marcato, e aggiungo molto gradevole, approccio floreale e uno Chardonnay molto gustoso, fresco e delicato. L’obiettivo di migliorare e di costruire maggior valore per i vini romagnoli non può esimersi dalla considerazione dei costi necessari che in questo caso portano a prezzi importanti, specie per vini praticamente al debutto, 30 euro oltre iva prezzo Horeca (escluso eventuali sconti) non sono pochi anche se i vini sono veramente ben fatti, puliti, immediati, di contenuta gradazione alcolica (questa forse è la sfida del futuro, fare vini di gradazione contenuta senza depauperarli) fragranti e molto gradevoli.
In quanto al fatto se riflettano o meno il territorio e la tradizione dei sangiovese predappiesi proprio non so cosa dirvi. Ricordate solo che la tradizione di domani altro non è che la modernità di oggi.