Gli anni sono i ruggenti Ottanta, quelli dove la Milano era da bere (rigorosamente Martini) e la Romagna da ballare. In quel clima di spensieratezza qualcuno dalle parti di Faenza si era accorto di un vuoto. Il vino viveva ancora di tanto sfuso, c’era spazio per un “confezionato” nazionalpopolare. Piccolo problema: gli unici contenitori consentiti erano vetro, legno e terracotta. Il vino lo potevi mettere solo lì dentro.
L’idea, che si rivelerà geniale, è il Tetra Pak. Perché non mettere il vino in brick? Siamo nel 1983, si parte con l’esperimento. Per il lancio sul mercato arrivano tante proposte da Milano senza scaldare il cuore. Si decide di giocare in casa, ci si rivolge a un gruppo di ragazzi di Imola. Si ispirano alla “taverna”, l’idea viene pagata 500 mila lire. Decisamente poco per un marchio che perdura ancora oggi a 40 anni di distanza ed è divenuto il simbolo del vino in brick.
Perché Tavernello quest’anno compie quattro decenni di vita. Traguardo che il colosso Caviro ha onorato con un’edizione speciale del brick a firma di Robilant. Nel dorso compare un “manifesto” che racconta i 40 anni di un vino divenuto leader di mercato nel segmento del consumo quotidiano e tra i 10 marchi mondiali del settore. Un vino che nasce dalla vendemmia di 12.000 viticoltori per 36.000 ettari di vigneti.
Oggi questo vino viaggia in 46 Paesi del mondo. E dai 5 milioni di brick del 1983 è passato a 100. “È diventato un’icona che racconta la cultura italiana”, ha affermato Benedetto Marescotti direttore marketing Caviro.
Alcuni continuano a storcere il naso perché il Tavernello non può essere l’emblema del vino italiano nel mondo. Sia come sia, una cosa è certa: il successo è innegabile. E bravi quei giovanotti di Imola che pensarono alla “taverna”…