È il simbolo della semplicità, ma non è una preparazione facilissima. Fare un ottimo spaghetto aglio, olio e peperoncino non è semplice. Soprattutto per garantire quella cremosità che è diventata elemento irrinunciabile.
Il piatto è di origini campane. Il nome originale è “vermicelli aglio e uoglie”. Tra i primi testi che ne parlano c’è “La cucina teorico pratica” di Ippolito Cavalcanti, editato nel 1837. Le dosi: quattro libbre di pasta, sei once d’olio e due spicchi d’aglio. Jeanne Caròla Francesconi ne “La cucina napoletana” del 1965 sostiene che si usavano le linguine. Di sicuro il piatto era molto apprezzato dai Borboni, casa che regnava nel meridione d’Italia. Si narra che fossero così importanti che per “arrotolarli bene” il ciambellano di Ferdinando IV inventò l’utilizzo della forchetta a quattro denti. C’erano poi delle varianti. Nelle ricette più antiche si trova traccia di pepe nero, ma anche di acciuga, di mollica di pane o pangrattato.
Adesso l’unica aggiunta è il prezzemolo. Tutto invece ruota sulla preparazione. In tal senso è in aumento il numero di cuochi che utilizza la pasta d’aglio: gli spicchi schiacciati col coltello e messi nell’olio con un po’ d’acqua e fatti stufare. Fondamentale, anche in questo caso, la mantecatura che, grazie al rilascio dell’amido, regala alla pasta quella cremina che è diventata un elemento irrinunciabile come la presenza del prezzemolo che regala un tono vegetale.
L’ultima frontiera è l’utilizzo dell’aglio nero, prodotto costoso e non facilissimo da trovare. Grazie alla fermentazione si presenta in spicchi dal colore bruno scuro, con una consistenza morbida e cremosa (è quindi semplice da schiacciare) e con un retrogusto di liquirizia e, a volte, di aceto balsamico. Non è necessario soffriggere e non serve il prezzemolo.