Più o meno è andata così. Alessandro Rossi, wine manager di Partesa, mi dice “vieni quest’anno all’Open Wine a Rimini c’è una bella novità: Le Théâtre Grand-Guignol Du Chef. I cuochi della Romagna intervistati da Andrea Grignaffini”. Per chi non lo conoscesse, Gnaffone è il responsabile delle guide dell’Espresso. Insieme a lui c’è un’altra firma del giornalismo, Alberto Cauzzi, ideatore di Passione Gourmet. Vabbè dai, decido di andarci e invito qualche collega. Confesso, l’entusiasmo non è il massimo, ormai di cuochi che parlano ne sento parecchi, pure troppi.
Quello che Alessandro non mi ha detto, però, sono i nomi dei tre. E qui arriva il bello, perché una serata preventivata nella noia delle chiacchiere si trasforma in una piacevolissima narrazione di storie come non mi capitava da tempo. Il format è semplice, 15 minuti a testa, il cuoco di turno seduto su un divano, Grignaffini e Cauzzi che incalzano, se c’è tempo le domande del pubblico.
La partenza è a razzo: Stefano Ciotti del Nostrano a Pesaro. La sua parlata è brillante come le idee che ha in cucina, prima stella nel 2004 al Carducci a Cattolica, varie esperienze in giro, nel 2015 apre il Nostrano a Pesaro, due anni dopo è ancora stella. Nulla avviene a caso. “Nostrano, perché la mia cucina è lo specchio di questa terra trasversale di esperienze”, dice. Quest’anno festeggia i 30 anni di lavoro, in serbo ha un progetto in Quotar. “In cucina si lavora con i tempi contati, lì viene fuori il carattere di una persona, soprattutto nei giovani”. Altro che bamboccioni, dai a un ragazzo una padella e ti farà vedere quello che è.
Il testimone passa poi a Mariano Guardianelli. Qui si gioca in casa, Abocar Due cucine è nel cuore di Rimini. Il locale è salito agli onori della città per essere stato l’ultima stella del firmamento ristorativo: “non me l’aspettavo ma ci speravo, come tutti”, ha detto. Qui la contaminazione è netta, lui è argentino, sua moglie romagnola. Una scommessa, azzardata in una città come Rimini. Guardianelli tira dritto, “il futuro della cucina è il fusion”, dice senza timori. “L’Italia ha un ventaglio di prodotti che in Argentina neanche mi sognavo; è il bello di questo Paese”. Ha ragione, noi forse lo diamo troppo per scontato.
Il tour non poteva che terminare con Marco Stefanelli (nella foto). Il suo “Micro a Cervia è “un’isola di pace nel caos della riviera”, esordisce Cauzzi. Stefanelli è un personaggio sui generis, come il suo look e il suo curriculum: diploma da ragioniere, voleva fare l’architetto, si è ritrovato alla guida di un locale il cui nome è l’antitesi delle grandi folle a tavola. Ma il bello è la risposta alla domanda su quale sia il filo conduttore della sua cucina: “un gran casino”. Non è vero, perchè chi ha mangiato la tagliatella che sua mamma ancora oggi tira a mano si è innamorato perdutamente. Una cosa è certa, c’è un solo modo per definire Micro: “vivere l’esperienza”.
Il finale è di Grignaffini. “Si dice che va sempre peggio. Non è vero! Tanti anni fa ho passato diverse stagioni a Gabicce mare e devo dire che la ristorazione oggi è migliorata tantissimo, a livello tecnico e culturale. Altro che mondo che va in peggio”.