Mercato Usa: problema dazi ma non solo

Sul vino italiano regna l’incognita dei dazi americani. Un’incertezza dal peso specifico ponderoso, al punto da mettere in discussione una celebre massima di Tonino Guerra sull’ottimismo “profumo della vita”.

Il mercato degli States non è uno tra i tanti bensì è il numero uno nello sbocco dei vini tanto da rappresentare poco meno di un terzo delle esportazioni del nostro Paese, per un valore di 939 milioni di euro nel primo semestre del 2024 secondo i dati dell’Osservatorio Federvini-Nomisma. Dunque, un mercato strategico del made in Italy vitivinicolo. Ma il problema non sta solo nei dazi. È ben più ampio. Perché a questa incertezza trumpiana si sommano i rebus di una burocrazia cervellotica, tra licenze federali e statali che cambiano di Stato in Stato, e soprattutto un mutamento dei consumi delle giovani generazioni yankee che hanno cambiato la domanda. Insomma, poche certezze sotto il sole tra New York e Los Angeles.

Se n’è parlato nella recente edizione di Slow Wine in un incontro dall’emblematico titolo “Il vino italiano negli USA: stato dell’arte, aspettative e paure”. A fotografare il panorama americano ci ha pensato Mirella Menglide di Ice New York. “Il 2024 si è chiuso con una crescita per il vino italiano negli States del +6% in valore e quantità. Resta da vedere se si è trattato di una crescita reale oppure di un balzo in avanti temporaneo per fare magazzino in vista dei possibili dazi. Ascoltando alcuni importatori non tutti hanno fatto scorte, resta comunque l’incertezza di una situazione di cui non sappiamo come si evolverà”.

Menglide ha allargato lo sguardo al mercato americano nel pieno di una metamorfosi sociale. “I consumi sono in calo per l’affermarsi di stili di vita salutistici che non contemplano l’alcool, in un trend culturale che coinvolge anche le giovani generazioni. Oggi si beve meno e si riduce la frequenza dell’acquisto; quando però si compra una bottiglia si sceglie un vino a un prezzo più alto. In sostanza bevo meno ma lo faccio meglio. Non è un caso che i vini dealcolati siano in crescita esponenziale insieme a tutte le bevande no alcool”.

Il vino italiano, in questo panorama, ha le sue cartucce da giocarsi grazie all’appeal dell’italian style. “Gli americani sono innamorati dell’Italia e del suo stile di vita e quindi la reputazione rimane alta. A tal proposito un ruolo importante lo riveste la cucina italiana in America che gode di ottima considerazione. In favore dei vini italiani c’è anche il rapporto qualità/prezzo, decisamente migliore rispetto a quello francese, anche se devono fare attenzione alla concorrenza del Cile in piena ascesa”.

Il dibattito successivo, che ha messo a confronto diversi importatori, ha confermato la fotografia scattata da Ice, evidenziando come negli ultimi anni si è verificato un mutamento epocale nel mercato americano soprattutto nelle nuove generazioni. Un tema piuttosto sentito, tanto da essere sottolineato anche nella recente edizione del Forum Wine Monitor di Nomisma. Secondo Ilaria Cisbani, Analyst di Nomisma, “in Italia i giovani appartenenti alla Gen Z consumano vino solo in occasioni speciali, hanno una scarsa conoscenza del prodotto e quando lo scelgono prestano attenzione primariamente alla gradazione alcolica e alla sostenibilità. E lo stesso accade anche negli Stati Uniti e questo spiega perché i No Alcol wines, negli USA, siano già una realtà diffusa nel consumo delle giovani generazioni”.


Filippo Fabbri
Calciatore mancato, giornalista per passione. Una stella polare, il motto del grande Gianni Brera: “Prima di scrivere un articolo bevi un bicchier di vino”. Perchè come diceva Baudelaire "bisogna diffidare degli astemi". Contatti: filfabbri@gmail.com
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