Alessandra Meldolesi, bolognese, è una delle giornaliste gastronomiche (non nel senso che la si può mangiare, eh!) più note ed accreditate. Ha frequentato scuole di cucina in Francia ed è autrice di una decina di libri sulla cucina e sulla ristorazione. Penna graffiante e colta, scrive per molte testate e i suoi articoli offrono sempre punti di vista ed opinioni interessanti. Solitamente è lei che intervista ma oggi, in esclusiva per emiliaromagnavini.it ha ceduto a noi il ruolo di intervistatore.
Alessandra buongiorno, come ti sei trovata ad occuparti di cucina?
È successo quando dopo la laurea sono finita a lavorare alla Comunità Europea. Non era nei miei piani, ma ero stata selezionata per il rendimento e la conoscenza delle lingue. Pensavo avrei fatto carriera, invece dentro di me ho rifiutato tutto e sono dovuta scappare. La cucina è stata la reazione a quel mondo che poteva darmi tanto, ma sentivo estraneo. Sono tornata e ho detto ai miei: “Mamma, papà, voglio fare la cuoca”. Da lì la scuola Lenôtre, stage ed esperienze di lavoro anche in ristoranti a più stelle Michelin, come l’Albereta e l’Esperance. Nel frattempo da giovane cuoca a Parigi mi divertivo moltissimo. Ma sentivo che non era la mia strada, dovevo realizzare un compromesso con il mio passato. E mi si è aperto il giornalismo, che allora era più florido.
Pensi che oggi il mestiere di giornalista eno-gastronomico possa garantire un reddito degno?
Il giornalismo purtroppo è un lavoro praticamente estinto, specialmente dopo il covid. Io non faccio ufficio stampa, ma per un giovane senza santi in paradiso sarebbe impossibile costruire un progetto di vita lavorando nel settore senza scendere a compromessi. E dire che i profitti, secondo me, agli alti livelli ci sono ancora, seppure assottigliati. Figuriamoci poi quando deflagrerà l’intelligenza artificiale.
C’è un gran parlare delle difficoltà di fare reddito per i ristoranti stellati: tu come la vedi?
Ogni ristorante è una storia a sé, secondo l’ubicazione e il tipo di clientela. So per certo che alcuni ristoratori stellati hanno redditi bassi, lavorando senza tregua. Altri se la passano bene, soprattutto grazie alle consulenze. Chi poi ha un nome, può permettersi perfino di chiudere il sabato. La bravura c’entra poco. Anzi la lista dei fuoriclasse che sono falliti è lunga, ahimè.
La tua opinione è preziosa, cosa ne pensi della cucina italiana oggi in rapporto ad altri paesi? E degli altri aspetti che pesano sulla valutazione di un ristorante, oltre al cibo vero e proprio, ad esempio, accoglienza, pulizia bagni etc in generale, come siamo messi?
Purtroppo faccio poco estero, ma quando esco dall’Italia mi capita di pensare che da noi si mangi almeno altrettanto bene, se non meglio, agli alti livelli. La cucina italiana però, contrariamente alla spagnola e alla nordica, non ha mai avuto un messaggio semplice, diretto, unico da comunicare, quindi è meno mediatica, salvo eccezioni personali. Il servizio è importantissimo ed è il motivo per cui fatico ad amare fino in fondo la bistronomia, mentre ho un debole per il guéridon e per i carrelli.
E veniamo al vino: a volte hai dichiarato di capire poco di vino, anche se io non ci credo. Chi ha un palato sensibile non lo può accantonare a comando. Cosa ne pensi delle carte dei vini degli stellati in generale? Hanno ricarichi troppo alti in generale e in relazione ad altri paesi, la Francia per esempio, oppure sono in linea?
Anche in questo caso mi è difficile generalizzare, certo un ristorante è un’impresa e anche la cantina deve fruttare, per questo è importantissimo avere sommelier che sappiano riconoscere i produttori emergenti e capitalizzare le vecchie annate. La tendenza è ad avere carte più snelle. Ci sta, se si riesce comunque ad accontentare quasi tutti.
Recentemente sei stata avvistata ad una masterclass di vini Bianchi di Modigliana, la tua opinione?
Io sono bianchista e ho trovato i vini molto piacevoli. Poi ho avuto la fortuna di essere seduta vicino a un’autorità come Giovanni Solaroli, che me li ha fatti apprezzare ancora di più.
In generale del vino italiano, anche in rapporto ai vini di altri paesi, frequentando spesso ristoranti per lavoro, che ne pensi?
Spesso i ristoranti offrono pairing di vini locali per chi viene da fuori e pairing internazionali per la gente del posto. Vedo che però sui grandi bianchi si casca sempre oltralpe, penso non senza ragioni.
Fiere e manifestazioni sul vino: si sta esagerando, ce ne sono troppe?
È un momento in cui ognuno fa il suo business, il suo premio, la sua manifestazione. Anche questa è una sfaccettatura della crisi del giornalismo. Almeno finché c’è qualcuno che paga.
Il vino è sempre stato un compagno fedele della tavola, tuttavia oggi i consumi sono in forte calo? Secondo te le cause quali sono?
Credo ci sia una forte pressione mediatica contro le bevande alcoliche, fa parte del puritanesimo dei nostri tempi.
Ultima domanda: hai qualche suggerimento da dare al mondo del vino?
Io sono profondamente affascinata dai grandi intenditori di vino. Penso che la cucina e il vino siano mondi paralleli ma distinti, che richiedono palati un po’ diversi. Il vino in un certo senso è più difficile perché è più facile, nel senso che avendo meno sensazioni è più codificabile anche nelle sue tecniche di analisi. In cucina, a parte il plurilinguismo, amiamo anche sensazioni provocatorie, che possono giocare un ruolo espressivo, ma nel mondo del vino difficilmente sono ammesse. La degustazione fatta da un grande sommelier per me resta uno spettacolo. Invece ultimamente vedo un certo populismo, come se i tecnicismi andassero dismessi. Poi di problemi ce ne sono tanti: la faziosità, le mode, l’ambiguità dei ruoli…
Alessandra grazie per questa bella intervista e mi auguro di poterti vedere più spesso ad eventi vinosi.